Piergiorgio Sperduti
Salvatore e Antonio Petito, Pulcinella
Aggiornamento: 30 mar 2021
Salvatore e Antonio Petito, padre e figlio, Pulcinelli entrambi, fecero nell’Ottocento la fortuna del teatro San Carlino di Napoli, il tempio dello spettacolo popolare della città.
Il 10 aprile 1852 Salvatore Petito, applauditissimo Pulcinella del teatro San Carlino di Napoli, si rivolse in versi dialettali agli spettatori che l’avevano amato per decennî e disse — in soldoni: cari miei, sono vecchio e stanco; concedetemi il meritato riposo e accogliete con indulgenza il nuovo Pulcinella di questa compagnia, mio figlio Antonio. Poi s’avvicinò con una mano decisa il figliolo, che stava con lui in scena, gli diede maschera e coppolone e "Pe’ cient’anne!" lo benedisse. Il pubblico partecipò a lungo con applausi e lagrime e baci e grida. Mai scena d’abdicazione reale fu, a nostro vedere, piú memorabile.

Salvatore Petito era stato uomo di grandi avventure e artista di prim’ordine. Già ballerino al Reale San Carlo, sciupafemmine incallito, s’era trovato a scappare col grande amore della sua vita (Maria Giuseppa Errico, danzatrice anch’ella) a Corfú, per via che i Borbone erano rientrati a Napoli ed invece lui era legato al partito di Murat; nell’isola lontana aveva sposato la Errico; rimpatriato al placarsi della tempesta politica, assieme a sua moglie aveva aperto un bel teatrino e s’era cimentato nel genere comico con Pulcinella, maschera che allora dominava incontrastata lo spettacolo popolare napoletano. Tanto bene si portava sulla scena che Silvio Maria Luzi, impresario della maggiore compagnia della città, l’aveva scritturato sul suo palcoscenico del San Carlino — sancta sanctorum del teatro d’Arte partenopeo.
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Cominciarono così per Salvatore trent’anni di successo impareggiabile sul palcoscenico del San Carlino. Egli si conquistò il nome di Pulcinella delle dame per i modi (e l’aspetto) signorili ed eleganti; vedeva crescersi attorno una numerosa progenie legata in vario modo all’Arte; non mise termine ai suoi maneggi amorosi e una volta — raccontano — sua moglie, che era divenuta famosa col nome di Donna Peppa e gestiva con capacità e tirchieria il teatrino Silfide, si vide costretta a travestirsi da uomo per pedinarlo e sorprenderlo in flagrante adulterio. Fra tanta vita, intanto pure invecchiava; cosí, almeno dalla fine degli anni Quaranta, ci ha spettegolato Eduardo Scarpetta nella sua biografia, Salvatore cominciò ad essere oggetto di antipatia da parte dei suoi compagni, stanchi di vedersi affianco un artista dalla recitazione ormai infiacchita. Leggiamo un tratto di Scarpetta, per farci un’idea quando non ci fosse familiare l’ambiente del teatro e il funzionamento della sua microsocietà:
«Così, mentre da una parte cominciava per lui [Salvatore Petito] la indifferenza e la freddezza del pubblico, dall’altra diventava sempre più sorda e minacciosa la guerra del palcoscenico. Triste ed implacabile guerra, fatta di piccole insidie ordite dietro le quinte, di bassi pettegolezzi susurrati nei camerini, d’insinuazioni e di allusioni maligne, che correvano di bocca in bocca, mascherate dal sorriso e dalle cortesie […]»
Il Luzi corse ai ripari. Insinuò, persuase, alluse e provò; offrí aiuto a Salvatore e fra le righe gli lasciò intendere ch’era ora andasse in pensione. Poi addirittura gli presentò come sostituto il figlio Antonio (in famiglia: Totonno 'o pazzo) il quale recitava con varî ruoli nei drammoni lagrime e sangue messi in scena da Donna Peppa e dalle altre compagnie girovaghe di Napoli per accattivarsi il pubblico piú plebeo. Poteva un padre — per giunta davvero arrivato al momento del riposo — rifiutare l’eredità al suo stesso figlio?
Quindi dal 1852 il Pulcinella delle dame abbandonò la maschera e rimase qualche anno ancora sul palcoscenico del San Carlino, interpretando piccole parti di carattere comicissimo (vecchi cafoni e giureconsulti sordi, personaggi siffatti che ancora adesso vivono nelle farse di tradizione meridionale). Rimasto vedovo condusse all’altare un’altra sua generosa amante pescata da dentro un teatro e il suo spirito gagliardo ma immalinconito volò in cielo da un minuscolo appartamento che era l'anno 1869.

Antonio, nel frattanto, indossata la maschera, non aveva semplicemente sostituito suo padre al San Carlino: aveva dato vita al Pulcinella piú grande che Napoli abbia veduto mai. Il Pulcinella di Antonio era prim’attore di ogni commedia, variopinto, spiritosissimo, commovente addirittura quando l’occasione si presentava; Di Giacomo l’ha studiato e pure molto bene Villani, mentre Scarpetta (che con Petito cominciò a recitare) lo ha ricordato assai vividamente nei suoi mendacissimi ricordi. A noi poveri appassionati del XXI secolo non è dato che struggerci su queste fonti senza capire che valeva quel portento d’attore; ma leggendo e leggendo ci siamo creati l’idea che Antonio prese una maschera (proteiforme già sí, ma pur sempre predeterminata) e la maneggiò con la libertà del gusto coevo, facendola scherzare a suo agio in testi i piú diversi e nuovi. Sistematizzando: seppe offrire alla maschera spazî di ruolo.
E infatti Antonio Petito fu famoso anche per interpretazioni senza maschera, col nome di Pascarello, impegnato in esperimenti di riscrittura da Molière e da Goldoni che (non ce ne stupiamo) lasciavano di stucco anche gli stessi altri attori della compagnia. Scarpetta addirittura lo preferiva cosí, a volto nudo, ed è lecito supporre che il famoso Felice Sciosciammocca — nato da una rielaborazione proprio di Petito — non fu altro che l’emulazione della neoterica drammaturgia d’attore di Pascarello.
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Insomma, Antonio Petito riscosse fama e mise su pancia calcando quel palcoscenico ove era stato incoronato, organizzando scherzi memorabili (e piuttosto pesanti) ad ogni suo conoscente, per anni di impetuosa tramutazione del teatro e delle sue tecniche: giacché, mentre in tutta Italia il teatro d’Arte avvizziva, portò alla massima gloria il San Carlino e meritò la visita di re Vittorio Emanuele II che, di Napoli, volle vedere quasi solo lui. Infine, come Molière, ebbe un malore in scena nel 1876 e abbandonò al suo destino la maschera di Pulcinella. La quale gli diede la soddisfazione che negò a papà Salvatore: quella di trascinarsi un altro poco stancamente di naso in naso su attori talentuosi ma antiquati, fino a sparire fra i boati funesti degli ordigni alleati; cosí da fare don Antonio ultimo e più grande dei Pulcinella.