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  • Immagine del redattorePiergiorgio Sperduti

Il teatro dopo il Covid

Il covid rischia di decretare la fine del teatro professionistico, incapace economicamente di reggere alla pandemia; al contrario dà al teatro amatoriale, in costante crescita, una opportunità futura straordinaria.


Se il mondo del teatro professionistico rimarrà travolto dalla pandemia e dalle necessarie restrizioni che essa impone alla vita, lo sanno gli anni lunghissimi e nefasti della statalizzazione della scena, che ha infiacchito la struttura dello spettacolo italiano, affidandolo alle cure soffocanti delle fondazioni e degli stabili, drogandolo con sovvenzioni e regalíe infelici.

Teatro amatoriale a Casalvieri (FR)
Foto di M. Schirinzi

Si sente spesso ripetere — e non solo per il teatro: anche per ogni altra attività — che il covid sta colpendo i settori e le economie e le produzioni deboli, già in crisi. Credo sia vero, ma non è il punto: il problema vero, a ben guardare, infatti, non è reggere durante la pandemia bensí avere un buon motivo di esistere anche dopo di essa. Che il teatro professionistico abbia questo buon motivo, è dubbio; ma gli auguriamo in bocca al lupo.


Tutt'altro discorso vale per il teatro amatoriale: in Italia, ma anche nel resto d'Europa, esso produce da decennî spettacoli capaci di soddisfare le richieste artistiche del pubblico cittadino come provinciale. E vive a ritmo tale da essere costretto a organizzarsi, socialmente e politicamente, per gestire al meglio la sua energia; basti pensare, a titolo d'esempio, che la FITA (la prima e piú numerosa associazione di teatro amatoriale) conta ormai piú di venticinquemila membri in tutta la nazione.


Questo teatro d'amatori trae la sua forza dalla società che lo produce perché lo richiede, come ogni vera autentica e solida forma d'arte; non ha bisogno di sovvenzioni e non è costretto a rincorrere un pubblico sparuto e disaffezionato. Al contrario, prova i suoi spettacoli, migliorandosi sempre piú, in attesa di portarli in piazza ove è costretto ad una salutare concorrenza; in mancanza di finanziamenti statali, vende i suoi parti a comuni e teatri pronti a pagare per rispondere a pratiche (e costanti) esigenze di svago e socializzazione delle rispettive realtà politico-geografiche. Il suo mondo è solido; e il futuro — passata l'epidemia — si presenta entusiasmante: tornare alla vita di piazza, alle feste, agli incontri, sarà occasione ghiottissima, per lui, di produzione artistica.


La scommessa del teatro amatoriale, allora, è di arrivare pronto alla fine della pandemia migliorato nella sua qualità recitativa e organizzativa, forte di una memoria performativa che non deve sbiadire in questi mesi di congelamento. Sarebbe un peccato infatti non cogliere l'occasione epocale che si presenta e limitarsi a salire ancora sul palco come prima del 2020; occorre serrare le fila, contarsi per bene, rafforzare tecnica e idee di messa in scena, cosí da riprendere la recitazione con forza proporzionata all'entusiasmo che assalirà tutti dopo il covid. Le persone chiederanno di ridere, potete scommetterci, e il teatro amatoriale sarà pronto alla scena.

Teatro amatoriale a Isola del Liri (FR)
Foto di M. Schirinzi

P.S. Conosco bene il teatro amatoriale per esservi nato artisticamente e per averlo studiato. Potrebbe interessarvi la lettera che, nel 2011, scrissi per Teatro e Storia su questo argomento: Teatri nell'alta Terra di Lavoro. Ciò mi consente anche di ricordare, qui, con tutti voi, il professor Ferdinando Taviani, recentemente scomparso, al quale indirizzai quella lettera, e che è stato una delle piú belle e complesse intelligenze degli studi teatrali europei.


Piergiorgio Sperduti

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