Piergiorgio Sperduti
Su Flaminio Scala
La biografia di Flaminio Scala, figura fondamentale della Commedia dell’Arte, ha subíto ogni sorta di illazione riguardante soprattutto il suo essere capo e autore dei Gelosi. Gli studî piú recenti hanno ormai smentito questa leggenda; ma a noi interessa illustrare qui com’essa nacque.
Il lacunoso romanzo della vita di Flaminio Scala è il frutto dello stratificarsi — soprattutto nei secoli XVIII e XIX — di supposizioni frequentemente infondate e di ipotesi contrabbandate per certezze. Il fraintendimento delle fonti che sta alla base di molte esorbitanti falsità (la maggiore è quella che vuole Scala membro e addirittura capo dei Gelosi) è tanto piú grave in quanto altera la biografia di quel comico famoso ed influente che, per primo, volle pubblicare una raccolta di scenarî, intitolandola Il teatro delle Favole rappresentative (1611).

A far luce su una intricata ragnatela di inesattezze sono state, fra Novecento e Duemila, le ricerche contemporanee di Marotti, Taviani e Ferrone, soprattutto; anticipate da brevi intuizioni italiane e straniere. Ma chi, e perché, inventò una vita sbagliata di Scala?
Nel 1716, su richiesta del reggente di Francia, i comici italiani tornarono ufficialmente a Parigi con le loro commedie improvvise. Furono adunati dal serenissimo comando del duca di Parma e li capitanò l’autore del primo capitolo del romanzo di Scala. Parliamo di Lugi Riccoboni, figlio d’arte, uomo di lettere e, a quanto possiamo immaginare, integerrima moralità: tanto che per anni cercò di sfuggire al mondo dissoluto del teatro come alla pochezza artistica della Commedia dell’Arte, che sferzò duramente nella sua opera Histoire du Théâtre Italien: «Non vi fu mai chi piú di me avesse in odio la stravagante usanza di recitar comedie a l’improviso». Riccoboni tramandò di Scala: «Flaminio Scala fu il primo a scrivere canovacci delle commedie e a farli stampare: la composizione delle sue Favole è assai debole, ed oserei dire cattiva, ma soprattutto è in gran parte altamente scandalosa; […] il suo Teatro […] mancava totalmente di quella guida che rende armoniosa l’azione teatrale, che deve passare per i gradi che la ragione e il buon senso ci prescrivono […]». A parte questi toni moralistici, ossequiosi di un’alta e del tutto platonica estetica compositiva, Riccoboni lasciò di Scala sperdute e non chiare notizie sulle quali i posteri costruirono colonne sbilenche.
Le notizie sulla biografia di Scala e soprattutto il piglio moralizzante e colmo di ben poco velato disprezzo presenti nella Histoire di Riccoboni furono ripresi piuttosto pedissequamente da Francesco Saverio Quadrio, vent’anni piú tardi. Questi, però, era un gesuita ed un critico letterario — avvicinatosi al teatro solo per diffamarlo; cosí si curò appena appena di metter scompiglio maggiore nelle informazioni raccolte e arrivò ad indicare con certezza, in Scala, il direttore degli Accesi, scambiandolo, cioè, perfettamente, con Pier Maria Cecchini.
HO PARLATO DI PIER MARIA CECCHINI (ZANNI FRITTELLINO) NEL MIO ARTICOLO SUI CAPITANI
Negli anni ’50, poi, Giammaria Mazzucchelli, ne Gli Scrittori d’Italia, opera lasciata incompiuta — fortunatamente, ma questo è nostro capriccio —, ebbe agio di collegare le carriere di Francesco Andreini e di Flaminio Scala fino a metterli nella stessa compagnia. Mazzucchelli, probabilmente, scorse le maschere nei canovacci delle Favole, conoscendo, della Commedia dell’Arte, a malapena il nome della celeberrima compagnia guidata dagli Andreini — non lesse con attenzione, però, il Capitano Spavento il quale, in una lista dei suoi comici Gelosi, non aveva fatto nessuna menzione di Scala; esempio limpidissimo di come i libri monumentali, spesso, si scrivano colla fantasia piú che cogli studî. Ma a noi rimase, ad opera d’un letterato di chiara fama, che Andreini e Scala furono assieme nei Gelosi.
Negli anni ’80, Francesco Bartoli — l’uomo che piú d’ogni altro seppe ingannarsi col materiale documentario che possedeva — fu il vero, grande colpevole della infinita serie di equivoci e falsità biografici sulla vita di Scala. Egli infatti pensò a tutti i riferimenti che le opere del passato gli avevano gettato fra le mani; riferimenti che collegavano Scala ad Andreini in modo diretto anche se non precisato, e ne trasse un ritratto nitido, indubbio, volumetrico… e sbagliato. Chissà se convinto della giustezza delle sue affermazioni o infervorato dal miraggio d’una grandiosa unione artistica, Bartoli arrivò addirittura a dare per scontato che Scala fosse direttore dei Gelosi e loro compositore esclusivo. Niente di ciò che Bartoli poté maneggiare provava questa distorta ipotesi; ma a lui non importò e tirò dritto coi suoi bei fantasmi, incastonandoli nelle Notizie istoriche de’ Comici Italiani.

Con questa immaginata biografia di Scala, culmine dell’opera d’invenzione di tutto un secolo (o quasi), il Settecento affidò agli acrobatici esperimenti d’innesto di Magnin ed ai vaneggiamenti romantici di Sand la finzione di uno Scala capo dei Gelosi e loro autore di fiducia. Pure Adolfo Bartoli cadde nel tranello. Si dovette durar fatica ad attendere un D’Ancona o un Rasi a sollevare il dubbio (all’improvviso ovvio) delle fonti di questa idea. Dubbio che culminò nel magnifico riassunto di Ireneo Sanesi, il quale, dopo decennî di studî documentarî, nel secondo volume della sua commedia (1935), scrisse: «Di Flaminio Scala, che, da Francesco Bartoli in poi, si suol ripetere tradizionalmente avere avuto tanta parte nella ricostituzione dei Gelosi e esserne stato, per lungo tempo, direttore, non incontriamo, nei documenti relativi ai Gelosi stessi, nessuna traccia».
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Perfetto monito per ogni storico, anche del teatro: il convincente non basta al giudizio della storia, se non se ne portano le prove. Questa lezione permise agli studiosi della Commedia piú vicini a noi — formatisi alla scuola delle fonti — di strappare l’Improvvisa al mito e di riconsegnarcela diversissima, spesso, e piú vera.